PINK FLOYD: “THE DARK SIDE OF THE MOON” COMPIE 50 ANNI

01/03/2023

Articolo di Luca Di Criscio e Angelica Di Carlantonio

In ricorrenza del cinquantesimo anniversario di uno dei più rivoluzionari album dei Pink Floyd, The Dark Side Of The Moon, risulta di imprescindibile importanza offrire un omaggio ad uno dei dischi che hanno contribuito a cambiare trasversalmente la storia della musica, dell’arte e della moda, marcando in via definitiva un prima e un dopo, sia all’interno del gruppo stesso che nell’umanità, e rimanendo nelle classifiche di vendita per ben quindici anni. 

Il disco ha avuto una lunga gestazione, che ha permesso al gruppo di perfezionare l’opera fin nei minimi dettagli. Tutto ha inizio tra la fine del 1971 e l’inizio del 1972, quando i Pink Floyd, all’apice della propria fama come gruppo di rock progressivo, sviluppò del nuovo materiale che decise di iniziare a proporre integralmente in concerto. Lì c’era già la quasi totale essenza del disco, ma l’esperienza dal vivo permise di rodarne per bene la struttura e le tematiche, plasmandolo come un autentico concept album.

Solo dopo mesi di tour in tutto il mondo, la band si recò nei leggendari studi di Abbey Road a Londra e tra quelle mura finalmente la magia poté concretizzarsi: in solo un mese, grazie al meticoloso lavoro dell’illustre ingegnere del suono Alan Parsons, il disco era già quasi del tutto pronto, inciso così come era stato eseguito, con la sola aggiunta di brevi interventi parlati sparsi qua e là tra i solchi dell’opera. 

L’idea venne al bassista Roger Waters durante la fase di registrazione, che decise di realizzare delle piccole interviste con i vari addetti ai lavori negli studi, come portieri, hostess e tecnici del suono, nelle quali ad iniziali domande circostanziali sarebbero seguite, all’improvviso e in un crescendo continuo, domande di maggior tenore filosofico sulla violenza, la morte, la follia ed il denaro. L’effetto desiderato era quello di ottenere le risposte più autentiche e sincere possibili e solo rivolgendo le domande a persone non abituate ad essere intervistate si sarebbe potuto realizzare tale scopo. Lo dimostra il fatto che tra i vari intervistati ci furono anche Paul e Linda McCartney, presenti in sede per proprie incisioni, i cui contributi furono scartati perché “eccessivamente costruiti”. 

Attimi di pausa per i Pink Floyd durante le fasi di registrazione del disco

L’obiettivo dei Pink Floyd era quello di andare all’essenza dell’uomo e se c’è un elemento che testimonia questa volontà meglio di ogni altro, questo non può che essere la sua leggendaria copertina. Questa racchiude quello che è il tema cardine del disco: un trionfo di semplicità, eleganza, profondità ed ambizione.

Sono stati sufficienti uno sfondo nero, un triangolo, una linea bianca e sei linee parallele colorate. Il raggio di luce bianca che, entrando in un prisma, si scompone nei colori dell’arcobaleno, parte infatti dal presupposto che la vita umana si sviluppi attraverso momenti paradossali in grado di combaciare e condensarsi tra loro alla perfezione. Una vita fatta di estremismi, di traguardi e sconfitte la cui importanza è imprescindibile. Il perno che tiene in piedi il tutto è un tema che ci accomuna tutti: il tempo, lo scorrere della vita. 

Il filo rosso dell’album è, infatti, proprio la condizione di vulnerabilità dell’essere umano, il fatto che esistano innumerevoli aspetti alla base della nostra vita, che sfuggono totalmente al controllo della ragione. E, seppure la dimensione irrazionale è imprescindibile in quanto ci permette di definirci in senso compiuto, talvolta una paura dinanzi alla quale ci si sente fortemente impotenti è quella di vivere un’esistenza di perenne insoddisfazione a causa di scelte troppo o troppo poco meditate.

Questo conduce a vivere una dimensione di reclusione, per la quale è come se vivessimo la nostra vita in modo distaccato e meccanico attraverso una sensazione di irrealtà, dunque, come se quasi fossimo esclusivamente osservatori esterni delle nostre azioni, dei nostri pensieri, delle nostre sensazioni, ma anche del mondo esterno. 

Questa perdita di continuità dell’esperienza soggettiva, e la volontà di comprendere forzatamente cosa si cela alle spalle del meccanismo psicologico del tempo, vengono espresse alla perfezione attraverso la sequenza dei brani che costituiscono il misterioso album. D’altronde, una delle poche chiavi (se non l’unica) per addentrarsi totalmente in questa grande opera dei Pink Floyd e comprenderne la portata filosofica, politica ed umanitaria è proprio un’attenta analisi della disposizione delle canzoni. Attraverso quest’ultima, infatti, tentiamo di conferire un senso compiuto al percorso mentale che può sfociare in una spirale di estraniazione ed isolamento psicofisici dell’essere umano. 

SPEAK TO ME

Un battito cardiaco, ticchettii di orologi, rumori di registratori di cassa… è così che ha inizio uno dei dischi più importanti della storia della musica, con un climax di effetti sonori che ritroveremo singolarmente dispersi nei meandri del disco. Su questa base si innestano brevi riflessioni sul tema della follia, uno dei principali del disco, nel quale ogni lato costituisce un’opera musicale continua e ognuno dei due rappresenta vari stadi della vita umana …un elicottero in partenza, risate, delle forti grida e si comincia a respirare. La vita è cominciata.

BREATHE (IN THE AIR)

Le meravigliose trame musicali create da David Gilmour con l’ausilio della chitarra slide costruiscono una deliziosa atmosfera eterea e sognante, che ci introduce nel primo brano effettivo del disco, che vuole incarnare la fase giovanile della vita dell’uomo, nella quale ognuno deve “scegliere il proprio terreno”. Il sontuoso lavoro di Richard Wright trova qui ampio spazio con un breve passaggio ripreso da “All Blues” del leggendario trombettista jazz Miles Davis e con l’ingresso dell’organo alla metà del brano, che gli conferisce ulteriore vigore nel momento in cui il testo esorta ad iniziare a correre, a lavorare duramente senza fermarsi. Questa corsa, tuttavia, come constatano i Pink Floyd con cruda amarezza, non può che condurre “verso una tomba precoce” …

ON THE RUN

Cambio di scena: d’improvviso ci troviamo catapultati in un aeroporto, come ci fanno percepire i rumori degli aerei e dei continui annunci di voli, che si rincorrono continuamente da una parte all’altra in questi spazi. La frenesia della vita ha già preso il controllo totale, ma se riusciamo ad avere questa sensazione è merito del pioneristico arpeggiatore VCS3, in grado di restituire con i suoi meccanismi questa atmosfera così ansiogena ed opprimente. Il ritmo sale sempre di più, raggiungendo il suo apice con un’improvvisa esplosione. Seguono passi di corsa e ticchettii di orologi…

TIME

I ticchettii si fanno sempre più intensi fino ad esplodere in un tripudio di sveglie, che ci accoglie all’interno di questo lungo ed intenso brano, la cui introduzione è affidata al basso di Roger Waters che continua a riprodurre il “tic tac” dell’orologio, mentre gli altri membri della band rimangono liberi di dare sfoggio della loro grande bravura nel creare atmosfere sonore eleganti e raffinatissime. Nel momento in cui Nick Mason, con un inconfondibile fraseggio da manuale, detta il cambio di sezione del brano, irrompe la voce di David Gilmour a parlarci del susseguirsi monotono e ciclico delle giornate una dopo l’altra e di quanto tempo si sprechi nella vita.

Nel ritornello sopraggiunge la voce di Richard Wright, che con tono soave ci espone l’inesorabile scorrere del tempo, nella cui fluidità un giorno si è giovani e quello successivo si realizza che in realtà sono trascorsi già 10 anni come se nulla fosse. È proprio in questo momento di massima tensione che esplode il memorabile assolo di Gilmour, tra i migliori mai eseguiti nella storia del rock, nel quale il chitarrista mostra tutte le sue abilità e il suo stato di grazia con note intrise di sentimento unico. Dopo un’altra lancinante strofa, il brano recupera il tema principale della precedente “Breathe” per chiudere i giochi. “Il tempo è passato, la canzone è finita, pensavo di avere qualcos’altro da dire”. La morte ha però rapidamente raggiunto il suo cliente…

THE GREAT GIG IN THE SKY

Si può esprimere un concetto importante come quello della morte senza proferire nemmeno una parola? A quanto pare sì, perché è proprio questo ciò che i Pink Floyd hanno chiesto di fare alla cantante Clare Torry in sala di registrazione: pensa alla morte ed esprimiti liberamente, ma senza usare parole. Il risultato è che, dopo la magistrale introduzione al pianoforte del maestro Richard Wright, di rara bellezza e sensibilità, e alcune toccanti frasi circa la paura della morte, l’ingresso della voce lascia letteralmente a bocca aperta: la cantante inglese ha sfoggiato una prestazione a dir poco spaventosa, intrisa di rabbia e disperazione, sentita e passionale, che ha dato alla band ciò che cercava, la perfezione. Dopo questa tempesta sonora, il brano tornerà su acque più placide, accompagnandoci delicatamente alla fine della prima facciata.

MONEY

Tutto comincia con il suono di un registratore di cassa, raggiunto presto da quelli di monetine in caduta e di carta strappata: questo collage sonoro dà il via al secondo lato di “The Dark Side Of The Moon” e il ritmo al brano, realizzando le fondamenta per uno dei riff di basso più riconoscibili di sempre. Protagonista qui, come si può evincere dal titolo, è uno dei desideri più grandi dell’uomo, il denaro, che serve per introdurre i temi dell’avarizia e del consumismo. Questi, trattati con adeguata ironia, occupano tutta la prima parte della canzone tra rivalità fra magnati, jet privati e acquisto di squadre da football.

La sezione centrale è riservata dapprima ad un elegante solo di sax, salvo poi cedere il passo ad un doppio roboante assolo di Gilmour, che torna a mettersi in bella vista per innalzare le dinamiche del brano. La coda della canzone lascia spazio ad un nuovo dialogo nel quale si carpisce che l’argomento sia una rissa e chi avesse ragione. Il brano confluisce senza soluzione di continuità nel successivo…

US AND THEM

Un elegante introduzione affidata al solo organo apre questa grande gemma all’interno del disco e rende solenne l’atmosfera, per poi lasciare spazio al pianoforte, la cui progressione era stata inizialmente composta per il film del regista italiano Michelangelo Antonioni “Zabriskie Point”. Il seguente è uno dei brani più intensi di tutto l’album per via della sua profonda riflessione sull’inutilità della guerra, realizzata mediante la contrapposizione di termini, come possiamo notare fin dal titolo. Così i conflitti militari vengono visti come un’opposizione tra “noi e “loro”, tra “su” o “con” (chi vince) e “giù” o “senza” (chi perde), come un semplice gioco condotto da pochi individui che al grido “all’attacco!” mandano a morire miriadi di persone per mascherare i ben più seri problemi di Stato.

La sezione centrale lascia nuovamente spazio agli strumenti per distendere l’atmosfera, questa volta al pianoforte e al sassofono in un connubio speciale, accompagnati da un breve e calzante discorso sull’uso della violenza e delle buone maniere. Sul finale, le ultime due strofe si concentrano maggiormente sulla povertà del popolo in seguito alla guerra e sulla sua libertà di scelta sul mercato, inevitabilmente ridotta… 

ANY COLOUR YOU LIKE

Siamo giunti all’ultimo brano strumentale del disco dal titolo emblematico quanto ermetico, poiché deve portare con sé il significato di tutta la composizione. Con esso, riallacciandosi alla traccia precedente, si vuole alludere al fatto che al giorno d’oggi la popolazione ha l’illusione di avere massima scelta, quando in realtà ognuna di queste sarà sempre eterodiretta. Sarebbe come a dire: “puoi scegliere il colore che ti piace di più, tanto ce n’è solo uno”. Musicalmente parlando il brano è un’esaltante jam dal forte sapore psichedelico, nella quale a farla da padroni sono ancora una volta Gilmour e Wright, che, scambiandosi vicendevolmente gli assoli e recuperando la progressione jazz di “Breathe”, ci accompagnano verso la fine del disco…

BRAIN DAMAGE

Una dolce chitarra elettrica pulita e una batteria minimale aprono la coppia finale del disco, cantata interamente da Roger Waters, che espone uno dei temi portanti di tutta l’opera: la follia. Questa si tratta di una delle canzoni più intime mai scritte dal bassista dei Pink Floyd, poiché ispirata direttamente alla crescente instabilità mentale del vecchio leader della band Syd Barrett. I vari riferimenti a questo personaggio, però, possono anche essere interpretati come una metafora per descrivere il modo in cui la società tende a bollare degli individui come matti (esemplare è il primo verso nel quale si definisce lunatico colui che sta sull’erba quando è vietato), per poi mettergli in testa ciò che fa più comodo al potere.

Nei ritornelli, autentica esplosione sonora, la band viene sostenuta da un imponente organo e da un coro di voci femminili, per poi chiudere con la celebre frase “I’ll see you on the dark side of the moon”, dove idealmente si trovano i lunatici. In chiusura, l’ingresso di un sintetizzatore dal suono psichedelico e alcune folli risate ci traghettano verso il gran finale, l’eclissi…

ECLIPSE

Abbiamo raggiunto lo zenit, il momento in cui ogni tensione viene sciolta. In questo brano, dominato anch’esso da Waters, organo celestiale e cori solenni, c’è poco da spiegare: la canzone parla di per sé in modo perfetto e tutto ciò che si può dire è che ogni cosa che faremo nella vita, ogni decisione presa o interazione con gli altri, alla fine sarà “eclissata dalla luna”, ovvero perderà di importanza. Espressione estremamente precisa di questo concetto è l’ultima frase parlata che chiude il disco: “There is no dark side of the moon really, matter of fact it’s all dark”. Ritorna il battito cardiaco e il ciclo ricomincia come se non si fosse mai interrotto: siamo tutti uguali e tutte le nostre azioni saranno riassorbite nel circolare e continuo fluire della vita. 

Pink Floyd, 1973

Giunti al termine di questo catartico viaggio nel lato oscuro della luna e di noi stessi, possiamo affermare con fermezza che dinanzi al disco dei Pink Floyd, non ci imbattiamo esclusivamente in un ordinario fluire di brani, ma che attraverso queste sonorità suggestive e psichedeliche, che vanno oltre la sfera dell’ascolto, siamo direttamente catapultati a bordo dell’ignoto. Il Lato Oscuro Della Luna ci fa naufragare nei fondali delle acque che, consciamente o meno, fanno parte di ciascuno di noi, come ausilio a diventare così marinai esperti.

Chitarre scorticanti, ticchettii impazziti, battiti cardiaci, e soavi ballate si scaraventano dritte nel nostro subconscio e ci fanno ripercorrere profondamente l’ansia e la paura di un qualcosa di indefinito, di quel senso di vuoto che ci pervade quando ci si sente tagliati fuori, insoddisfatti della propria esistenza e delle proprie scelte, e la simultanea volontà di affermarsi, sia a livello personale che all’interno di una società che altro non fa se non disgregare e porre continui muri. 

La luna continua a mostrare sempre la sua facciata di luce riflessa dal sole sulla Terra perché “everything under the sun is in tune”: sotto la luce del sole tutto è chiaro e convenzionaleQuesto sole, tuttavia, può essere eclissato dal lato oscuro, dall’ignoto, dai quesiti inspiegabili ai quali probabilmente nessuno riuscirà mai ad attribuire risposta. D’altro canto, ad ogni cosa visibile per sua natura corrisponde un rovescio della medaglia, un lato misterioso ed enigmatico. Ogni esistenza può di fatto contenere al suo interno follia a sufficienza da eclissarne il senso della stessa esistenza. 

Articolo di Luca Di Criscio e Angelica Di Carlantonio

Pubblicato da livestudio

Mi chiamo Luca Di Criscio e sono nato il 19 Maggio 2003 ad Atessa, un piccolo comune nella provincia di Chieti in Abruzzo. Fin da piccolo ho sviluppato un grandissimo interesse per la musica, specialmente il rock del passato, che mi ha portato all'età di 9 anni ad intraprendere lo studio della chitarra. Durante gli anni dell'adolescenza poi, i miei orizzonti culturali e musicali si sono notevolmente ampliati anche grazie alle prime esperienze all'interno di gruppi musicali, che mi hanno dato lezioni molto preziose. Dopo aver terminato il Liceo Classico, ho intrapreso gli studi all'Università Cattolica Del Sacro Cuore di Milano frequentando il corso di Linguaggi Dei Media della facoltà di Lettere e Filosofia. In questo ambiente, sono arrivato ad unire la mia enorme e sempre maggiore passione per il mondo musicale con gli studi passati e presenti per realizzare quale sia la mia ambizione: diventare un giornalista musicale. Pertanto, mi sono subito messo al lavoro e, contestualmente ad una collaborazione avviata con la web radio RockAndWow, ho deciso di aprire questo blog musicale nel quale metterò tutta la mia passione e le mie competenze.