INTERVISTA AD ARDEN: UNA VITA DA PRODUTTORE E ARTISTA

22/03/2023

Articolo di Luca Di Criscio

Nel mondo della musica si tende spesso a pensare che tutto ciò che si ascolta sia creato dall’artista che esegue il brano e al quale la canzone è attribuita. Ciò che viene spesso trascurato è che dietro questi personaggi c’è un’altra persona che lavora nell’ombra, che si occupa della realizzazione dei brani di molti artisti dalle prime note fino alla loro pubblicazione. Questa figura è il produttore e tra questi rientra anche Arden, vero nome di Andrea Caldieri, che da alcuni anni esercita questa professione con orgoglio e passione. 

Nella bell’intervista che mi ha concesso nel suo studio di registrazione a Milano, Arden ha avuto modo di raccontare la sua storia come produttore e cosa lo abbia spinto in seguito ad assumere il ruolo di prima donna e pubblicare un singolo a proprio nome.

COME NASCE IL TUO RAPPORTO CON LA MUSICA?

Io ho iniziato a vivere per e con la musica a circa dieci anni, quando sono entrato in un corso di strumento musicale alle scuole medie. C’è stato un po’ quell’alone di storia leggendaria secondo il quale è lo strumento che ti sceglie, perché è venuta una selezione di professori delle medie alle elementari per cercare nuovi adepti. Io sapevo suonare “Fra Martino” al pianoforte, ma ad un certo punto la professoressa di chitarra me ne mise in mano una dicendo: “Prova a fare tanti auguri a te, vedi se riesci a ricordarti il ritmo”. Lei faceva gli accordi, letteralmente suonava la mano sinistra, invece io solo la destra, che faceva lo strumming. Da lì in poi io mi sono innamorato della chitarra, ho fatto il provino per quello strumento alle medie dicendomi: “O chitarra o niente”.

Così nasce la mia storia d’amore con la strumento, prima ho suonato la classica, poi ho continuato con l’elettrica alla fine delle medie e in seguito sono andato avanti per conto mio, fino ad arrivare a lavorare qui (nel suo studio di registrazione, ndr).

DA DOVE VIENE IL TUO NOME D’ARTE “ARDEN”?

Questa è una bella storia. Il mio nome d’arte nasce in un periodo nel quale io ed un mio amico parlavamo una sorta di nuovo dialetto che abbiamo chiamato “neolingua”: noi prendevamo la prima lettera di ogni parola e poi tutto il resto non contava. La lattina poteva essere ad esempio la “lattner” o la “leotta”, tutto ciò che veniva dop la l era casuale. Un giorno mi ha telefonato e invece di chiamarmi Andre mi ha chiamato Arden, banalmente, e mi è piaciuto immediatamente. Tra l’altro il soprannome è l’anagramma del mio nome, solo che ha un suono molto diverso ed è per questo che la gente mi chiede spesso cosa significhi.

QUAL È IL LAVORO DEL PRODUTTORE?

Innanzitutto, penso sia necessario fare una distinzione tra produttore e beat maker, c’è una dicotomia tra le due figure. Quest’ultimo è colui che stende e realizza il beat, ovvero la ripetizione costante di suoni di vari strumenti, ma non ha uno svolgimento né un senso armonico: è un loop, una base. Il produttore ha un lavoro molto più ampio e complesso, è colui che si occupa del brano dal momento zero, dalla tela bianca, fino alla chiusura del pezzo. Nel mio caso specifico, Il produttore realizza uno sfondo sonoro, il mio compito è quello di dare più spazio possibile al cantante dando comunque traccia di ciò che so fare io.

Mi viene in mente un ottimo album da produttore, che è quello di MACE uscito nel 2021, dove si sente chiaramente l’impronta hip hop ed elettronica, ma il disco mantiene comunque quel fil rouge pop che l’ha fatto diventare un classico. È qui che si capisce in che cosa il produttore è “migliore” del beat maker, perché lui ha utilizzato delle chitarre elettriche, ma non le ha suonate, lui le ha arrangiate dicendo ai musicisti cosa desiderasse. Così è riuscito a realizzare un ottimo lavoro secondo me e si spera di poter fare un lavoro simile in futuro: è lui la mia fonte d’ispirazione a livello di produzione.

COSA TI HA DATO L’ESPERIENZA COME PRODUTTORE?

Prima di ogni cosa, anche se sembra paradossale, la musica non è il punto principale dell’esperienza da produttore, bensì il lato umano, non a livello di morale o di etica, ma di gestione della persona che hai di fianco.  Lavorando con le persone devi sapere come trattarle, non puoi avere colpi di testa a metà sessione, non puoi permetterti di essere stanco, o meglio, sì ma c’è un modo di mostrarlo per non far capire che sei stanco morto. In ogni caso devi continuare, perché il grado di coinvolgimento e l’eccitazione dell’artista sono più importanti di tutto: se il pezzo va male tu hai metà dei diritti, ma anche delle responsabilità.

A livello tecnico e musicale, ho imparato l’adattarsi a livello di gusti e di pratiche. Ho imparato tante cose come produttore lavorando con gente che non fa musica, perché io posso dire fammi una terzina, una sestina, un accordo diminuito… ma se arriva l’artista che non conosce la musica, per prima cosa non sai come spiegarglielo, secondo lui non sa cosa ti sta dicendo. Magari lui arriva dicendoti: “fammi un tarà tarà tarà(simula una melodia), lui non sa nulla, però tu devi essere in grado di capire, perché lui non è stupido, semplicemente non ha il lessico. Per riassumere, possiamo dire che mi ha insegnato a gestire il gusto e le tempistiche dell’altro.

COSA TI HA SPINTO AD INIZARE A PRODURRE MUSICA PROPRIA?

Questa è la cosa più meschina che mi viene da dire… questa esigenza nasce da un lato del mio carattere, ovvero quello della prima donna. Io, lavorando dietro le quinte per più volte nel corso della mia carriera, ho avuto a che fare con gente che aveva il ruolo principale chiaramente: il cantante, il rapper, o anche lo strumentista. Mi sono sempre sentito molto più capace, non in termini di talento ma di sapere cosa c’è da fare, di sapere cosa va fatto, che non indica ciò che è meglio a livello artistico ma di operatività, bisogna saper individuare cosa serve di più ad una canzone: magari una canzone è bellissima ma non serve a nulla nel 2023, mentre una canzone che nel 1980 faceva schifo oggi può diventare una hit mondiale.

Si tratta di fare la cosa giusta nel momento giusto ed è questa l’esigenza che ho sentito anche io e mi sono messo a scrivere. Già lo facevo in passato, ma quest’anno ho avuto il coraggio di pubblicare e menomale (ride). Mi sento bene con ogni aspetto del pezzo: da quando ho messo la prima nota, passando per la registrazione della voce e finendo con l’esibizione live. Il riscontro sta arrivando piano piano. La differenza sostanziale rispetto alla precedente esperienza è che se sbaglio è colpa mia, ma se non sbaglio è totalmente merito mio. Prima dovevo condividere tutto ciò e non riuscivo più a farlo, o meglio non era più l’unico obiettivo della mia giornata.

RACCONTACI LA GENESI DEL TUO PRIMO SINGOLO “1000 DEI”

“1000 dei” nasce una sera in cui ero a casa e avevo deciso di fumare una canna: ero estremamente fatto (ride). Stavo guardano un video di Nick Murphy (in arte Chet Faker), nel quale durante una live session ha eseguito “No Diggity” con una flemma e tranquillità mortali, con degli accordi sotto che lo dirigevano che mi hanno folgorato. Mi sono quindi messo a suonare il Rhodes come lui fino a trovare un giro ovviamente simile, ma abbastanza diverso da essere utilizzabile. Dopodiché sono stati aggiunti il basso, la batteria, le chitarre… questo brano è molto vecchio: le prime note sono state posate nel 2015.

C’è stata una versione inglese del brano nel quale parlavo della mia ragazza dell’epoca, poi ad un certo punto mi sono chiesto: “Ma io sono inglese? No. Posso fare musica in inglese in Italia?” Sì in realtà, ma non ho le caratteristiche: non sono stato in America per più di un minuto, non ho un genitore inglese, non vivo contesti dove la lingua madre è quella. Ho tradotto tutto e sono ripartito da capo, ci ho messo mesi per riscrivere il testo, perché un conto è buttare parole su un testo vuoto, ben altro è modificare un testo già esistente, non potendo ovviamente fare una traduzione letterale per questioni di suono e di metrica.

A quel punto ho cambiato un po’ le batterie, ho unificato il sound di questo pezzo insieme a quello del singolo successivo, che sono sempre stati una dicotomia, la stessa cosa ma in due forme differenti, dopo ho rifatto la voce e mi sono messo in studio a registrare tuto quanto un pezzettino alla volta. Alla fine ho capito che il pezzo andava pubblicato a tutti i costi. 

C’è un piccolo fun fact da raccontare. Io ho l’editoria di Thaurus ed ero molto voglioso di pubblicare questo insieme ad altri brani scritti da me tramite loro. Giovanni Valle, il capo editore di Thaurus, li sentì e mi chiese: “Vorresti sentire questi brani cantati da altri?”. Ovviamente dissi di no ma lo lasciai spiegare. Lui era intenzionato a pubblicarli perché funzionavano, ma io avevo avuto un ruolo ben preciso fino ad allora, quello del produttore, e sarebbe stato difficile piazzare i brani con un buon risultato in classifica a livello di marketing. Quindi mi disse: “E se li cantasse Irama?”. La sua idea era quella di spacchettare i brani e prendere di qua e di là delle parti e provare a darle a qualcuno.

La situazione è rimasta così per un paio di mesi, poi io ho avuto un’illuminazione, sono uscito da un periodo buio in cui ero e ho detto: “Vaffanculo, sono miei i pezzi e non posso vederli fallire senza che io non abbia messo nulla in più”. Li sentivo troppo miei per donarli, mi sono messo sulle spalle le responsabilità e ora sono fuori, anche gli altri brani stanno per uscire.

Copertina del primo singolo di Arden “1000 Dei”

QUANDO COMPONI QUALI SONO LE TUE PRINCIPALI FONTI DI ISPIRAZIONE?

La mia principale fonte di ispirazione per quei brani è stato John Mayer, che forse ha anche uno stile un po’ troppo antico, che risale a dieci anni fa. Lui è anacronistico in questo momento storico, a livello di classifica non funziona, però è un liricista pauroso, ha molta ironia, una mano sulla chitarra mostruosa. Riguardo al mio presente è entrato a gamba tesa nei miei ascolti da un paio di anni Bon Iver, che ha delle vibes e un linguaggio anacronistici anche lui, ma riesce a mettere dentro un’esecuzione e un sentimento talmente grossi, come un elefante in una stanza, che fa piangere: se io ti faccio ascoltare un pezzo del 2011 sembra uscito ieri, ma non perché suoni attuale, ma perché lui ha un modo di esprimersi unico.

Io odio nella stesura dei testi le citazioni a cose contemporanee: se io, ad esempio, parlassi dei monopattini a Milano tra qualche anno non c’entrerebbero più nulla, come se parlassi dei taxi neri e verdi degli anni 50, che oggi non sono più così. Si perde quell’elemento di contemporaneità che fa scadere il tuo brano. Lui parla di alcuni concetti che sono atemporali, riesce e a portarti in quel preciso momento senza dargli troppo peso, ma concentrandosi solo sul suo significato.

Ad esempio, prendiamo il tema della guerra: ci sono mille guerre, ma se tu parli di una guerra nello specifico circoscrivi il discorso. “One” dei Metallica parla di guerra, ma non di una nello specifico, magari è stata ispirata da una guerra nello specifico, ma se la senti tra dieci anni sarà ancora attuale. È quello che rende leggendaria la musica e Bon Iver ha un sacco di tracce leggendarie, che puoi ascoltare mentre piangi, dormi o ridi: ha più linguaggi.

Un’altra fonte di ispirazione, che con tutto ciò che abbiamo detto finora non c’entra nulla, è Dua Lipa. Lei ha scardinato la classifica in silenzio, ha fatto due/tre brani prima di fare il suo primo album, ma non era famosa, non era un personaggio. Poi lei ha trovato delle persone che l’hanno seguita bene e produttori che l’hanno avvolta in una sorta di “caramellina”. L’album “Future Nostalgia” del 2020 ha cambiato la musica: se ora in Italia ci sono cose come quelle che fa Lazza, quel pop con la cassa dritta un po’ new wave, il merito è suo. Se noi stiamo assaporando quel revival lì ora, quel cambio di strumenti, perché in un certo senso il rock sta tornando, lo dobbiamo a lei.

Prima eravamo settati sulla trap fino a prima del covid, poi è arrivata Dua Lipa e piano piano si è ricominciato a utilizzare nuovamente le chitarre e ora si spera di ripartire con questo filone.

IN CHE MODO COMPONI I TUOI ASSOLI?

Io a differenza di molti musicisti sono un ragionatore capillare, perché la mia esperienza mi ha insegnato questo: quando sei un produttore è tutto fermo, non è una band con la quale devi stare al passo in live, tu puoi cambiare note ogni minuto e sentire come suonano. Io ho sperimentato questa cosa nella composizione degli assoli, perché improvvisando vengono fuori dei lick piacevoli e delle frasi interessanti, ma magari l’80% è da buttare. È come un puzzle: so che c’è una parte per l’intro, una per lo svolgimento e una per il finale, ma non ti so dire cosa succede esattamente dentro la mia testa, so che ragiono a sequenze come all’interno della struttura di un brano.

Quando compongo assoli tra i chitarristi a cui faccio maggiormente riferimento c’è Slash. Sono nato come musicista ascoltando lui, conosco tutte le canzoni dei Guns’n’Roses, che sono la mia band preferita, e io ho proprio assimilato la pentatonica ed in un certo senso il “grezzo”. Io non sono un tecnicista, mi piace più il sentimento, ma questa cosa mi ha portato ad avere delle lacune, perché i Guns a livello armonico non sono così complicati, è sempre l’hard rock classico.

Il mio secondo idolo che è subentrato in seguito è John Mayer, che mi ha fatto cambiare addirittura i gusti sulle chitarre: io adoravo la Les Paul e ora sono più orientato sulle Fender Stratocaster e Telecaster, perché hanno un suono differente, molto più leggero e dolce, e soprattutto hanno una possibilità sonora differente. La Les Paul è un mattone che puoi usare in certi contesti da dio ma in altri meno, la Fender ha maggiore versatilità ed è questo che mi ha insegnato John Mayer. 

QUALI PROGETTI HAI PER IL FUTURO?

Il 14 aprile uscirà il mio secondo singolo che si chiama “Oh Mama” e dopo tre settimane circa uscirà un EP. Sarà composto da tracce che rimangono su questo filone epico e indie rock, ma ci sarà anche una traccia a sorpresa che non c’entra niente. Questo sarà un fil rouge che mi accompagnerà in tutta la mia discografia futura, che consiste nel fare un album che abbia una coesione totale per i 4/5 del totale e una traccia, che avrà il nome di traccia libera, dove provo, faccio tentativi e sperimentazioni: sarà tutto diverso a livello di genere, di approccio, di testo… Io ritengo di non fare musica a compartimenti stagni, io faccio musica da tutti i punti di vista e con persone differenti. In questo modo ho sviluppato gusti e capacità differenti, quindi anche la trap farà parte del tutto sappiatelo (ride)

Dopo questa intensa intervista con Arden, serrata come una sessione di registrazione, in attesa del suo prossimo singolo non rimane che imparare a conoscere l’artista e musicista che è con il suo primo singolo “1000 Dei”.

Articolo di Luca Di Criscio

Pubblicato da livestudio

Mi chiamo Luca Di Criscio e sono nato il 19 Maggio 2003 ad Atessa, un piccolo comune nella provincia di Chieti in Abruzzo. Fin da piccolo ho sviluppato un grandissimo interesse per la musica, specialmente il rock del passato, che mi ha portato all'età di 9 anni ad intraprendere lo studio della chitarra. Durante gli anni dell'adolescenza poi, i miei orizzonti culturali e musicali si sono notevolmente ampliati anche grazie alle prime esperienze all'interno di gruppi musicali, che mi hanno dato lezioni molto preziose. Dopo aver terminato il Liceo Classico, ho intrapreso gli studi all'Università Cattolica Del Sacro Cuore di Milano frequentando il corso di Linguaggi Dei Media della facoltà di Lettere e Filosofia. In questo ambiente, sono arrivato ad unire la mia enorme e sempre maggiore passione per il mondo musicale con gli studi passati e presenti per realizzare quale sia la mia ambizione: diventare un giornalista musicale. Pertanto, mi sono subito messo al lavoro e, contestualmente ad una collaborazione avviata con la web radio RockAndWow, ho deciso di aprire questo blog musicale nel quale metterò tutta la mia passione e le mie competenze.