L’ODISSEA DI BRUCE SPRINGSTEEN: LIVE A MONZA

In un’estate da capogiro, nella quale quasi tutti i maggiori artisti del momento sono tornati a calcare le scene toccando anche il suolo italiano e mandando in visibilio migliaia di fan, sono stati molteplici anche gli esponenti della vecchia guardia, che si sono impegnati nel mantenere alta la loro bandiera. Il re indiscusso in questa categoria rimane sempre Roger Waters, che ad 80 anni suonati (letteralmente) è ancora capace di portare in giro per il mondo intero il suo mastodontico spettacolo (la recensione della tappa milanese la trovate qui: www.livestudio.altervista.org/roger-waters/), ma assolutamente da meno non è Bruce Springsteen, che con la sua fedelissima The E Street Band ha fatto vivere a tutti una lunga odissea.

Perché parliamo di odissea per un tale argomento? Lo scoprirete strada facendo.

Nell’ultimo anno il Boss pare aver sviluppato un rapporto molto particolare con l’Italia. No, non stiamo parlando di quello con il suo pubblico, che gli dimostra caloroso affetto ormai da decenni, ma del fatto che ogni volta che l’artista americano ha messo piede nella nostra penisola per esibirsi il suo arrivo è sempre stato preceduto da violenti nubifragi e in alcuni casi alluvioni. È successo nella prima data di maggio a Ferrara, che tutti ricorderanno per l’ondata di polemiche seguite all’evento, così come in quella di pochi giorni dopo a Roma, e ancora in Lombardia tra il 24 e il 25 luglio, notte antecedente il suo concerto al Parco dell’Autodromo di Monza. Dall’alba della mattina seguente, tuttavia, sono partiti in modo tempestivo i lavori per mettere l’area concerto in sicurezza, che in modo encomiabile è stata garantita. 

Proprio all’alba di questo giorno, nella più classica delle quieti dopo la tempesta, inizia l’odissea di più di 70 mila persone accorse da tutta Italia per l’evento. Grazie ad un servizio gentilmente offerto dalla Trenord, una volta raggiunto il suolo lombardo una serie di treni regionali dedicati, seppur decimati per via dell’interruzione di alcune linee ferroviarie, hanno condotto i fan a Monza, dove le navette li hanno poi raccolti per condurli all’ingresso del Parco. Dopo essersi addentrati al suo interno, l’unico ostacolo rimasto da superare è stato la consueta attesa sotto il sole per l’apertura dei cancelli e i successivi controlli.

Volge così al termine la prima odissea di giornata, conclusa dal raggiungimento dell’agognata meta: la sconfinata area concerto, così verde e profondamente accogliente, nella quale prendere finalmente posto. L’attesa, tuttavia, sarà breve per via dei due artisti d’apertura scelti da Springsteen, che già da metà pomeriggio hanno iniziato a riscaldare l’atmosfera: i Teskey Brothers hanno proposto del vecchio e sano blues di grande impatto, mentre Tash Sultana ha lasciato tutti a bocca aperta saltando da una parte all’altra del palco per creare loop con i vari strumenti (tutti suonati da lei) per dare vita ai suoi brani.

Alle 19:30 circa è però già il momento di accogliere sul palco il Boss e la sua leggendaria The E Street Band, perché ci attendono ben tre ore di musica ricche di emozioni e di storia. L’avvio è affidato all’energica No Surrender, che manda in delirio il pubblico e lo prende per mano per condurlo all’interno di questo viaggio tra passato e presente di Bruce Springsteen. Sin dall’inizio l’artista si mostra in forma smagliante: canta; suona la chitarra, concedendosi anche un assolo su Prove It All Night; si muove molto lungo il palco e spesso si avvicina al suo pubblico per mostrargli tutto il suo affetto. In uno di questi momenti, durante il brano The Promised Land, caratterizzato da una melodia eseguita con l’armonica, Bruce ha deciso di regalare il suo strumento ad una bimba tra le prime file con suo grande stupore. 

Nelle file di questa fitta scaletta nulla rimane escluso, né brani del primissimo Springsteen come Kitty’s Back, esemplare nella sua descrizione di un immaginario tipicamente newyorchese di metà anni 70, né i lavori recenti dell’artista, come la cover del classico dei The Commodores Nightshift, inclusa nel suo ultimo disco, ma alla fine a farla da padroni sono sempre i grandi classici. Quando il Boss, ormai al calar del sole, con la sua armonica intona The River un boato si innalza dall’immensa platea e la commozione è visibile sul viso di molti, così come il trasporto totale del pubblico, che ha cantato all’unisono con Bruce l’intera canzone come fossero un’unica voce.

I brani scorrono senza soluzione di continuità ed è così che senza nemmeno accorgersene si giunge a canzoni immortali come Because The Night, iconico brano di Patti Smith ma scritto dall’artista del New Jersey, e l’emozionante e trascinante Badlands: due momenti in cui la folla ha partecipato con i suoi cori e movimenti, trasformando un grande concerto in una festa totale.

Siamo giunti al momento in cui, almeno in linea teorica, hanno inizio i bis, ma di fatto nessuno scende dal palco e Springsteen non si ferma nemmeno un attimo: in due ore di concerto non lo si è mai visto fare una sosta, neanche solo per sorseggiare un po’ d’acqua, roba da non credere se si considera la sua veneranda età di 74 anni. Ed è così che dopo dei semplici ringraziamenti è arrivato il turno di Born To Run, brano più iconico dell’artista tra quelli in scaletta, che ha regalato dei minuti di pura ed intensa magia a tutti i fan e che ha visto protagonista al sassofono Jake Clemons, figlio d’arte dello storico sassofonista della The E Street Band, Clarence, purtroppo scomparso ma non rimpianto per via del grande talento del suo erede. 

Quello sul palco è un gruppo che si diverte nel fare la propria musica, come dimostrano i buffi siparietti tra Bruce e la sua fida spalla “Little” Steven Van Zant sempre uniti da una complicità unica, che li ha visti dare il meglio di sé e divertire il pubblico durante inni come Glory Days Dancing In The Dark, ma che trova anche il tempo per riflettere sul passato, su ciò che è stato e su chi ci è stato. Lo dimostrano le toccanti immagini di Springsteen assieme ai suoi compagni di band venuti a mancare Danny Federici e il già citato Clarence Clemons, che hanno dominato i maxischermi durante Tenth Avenue Freeze Out in quello che è stato un grande omaggio, e la conclusione del concerto.

Infatti, dopo il delirante medley tra Twist And Shout La Bamba, che ha fatto ballare ogni singolo individuo dei 70 mila accorsi a Monza, il congedo è stato affidato alla sola voce ed alla chitarra del Boss, che ha eseguito la delicatissima e commovente I’ll See You In My Dreams, ballata dedicata a tutti coloro che non ci sono più e la cui presenza manca profondamente.

In questo modo si conclude la seconda odissea di giornata, quella di un concerto lungo, ma che non vorresti finisse mai, di una densità rara al giorno d’oggi, che passa attraverso la carriera cinquantennale di un artista che, come pochi, ha saputo raccontare l’America e la sua società in modo così puntuale. Quella di Bruce Springsteen è anche l’odissea di un artista che ha sempre avuto con sé fidi compagni di viaggio, e non li ha persi come nel poema omerico, con i quali si ritrova ancora a suonare dopo mezzo secolo e a divertirsi come un ragazzino, che garantisce ancora una qualità musicale assoluta, dovuta ad una band consolidata e arricchita da sezioni di fiati e cori di livello eccelso.

Infine, è anche l’odissea di un artista che non ha dimenticato chi inevitabilmente è stato perso lungo la strada e omaggia tutti con la giusta dignità e un velo di nostalgia dato dall’età.

Dura ben poco il dispiacere di alcuni dovuto all’assenza dalla scaletta di un inno generazionale come Born In The USA, perché dopo essersi immersi per tre ore nel mare sconfinato che è il repertorio di Springsteen si è talmente carichi di emozioni e ricordi, talmente folgorati dal concerto al quale si è appena assistito, che quel dettaglio viene decisamente meno. Si è cantato, si è ballato e ci si è emozionati tanto: non si doveva far altro.

La terza e ultima odissea riguarda l’esodo dal Parco, ma non è questa che ci interessa. Come nella più classica delle tradizioni degli aedi greci, dei narratori dei poemi epici, ognuno racconta solo ciò che ritiene opportuno che venga ricordato e tramandato. L’importante, nel nostro caso ed in quello dell’Odissea, è che si concluda con un ritorno a casa

SETLIST

No Surrender

Ghosts

Prove It All Night

Letter To You

The Promised Land

Out In The Street

Darlington County

Kitty’s Back

Nightshift

Mary’s Place

Johnny 99

The River

Last Man Standing

Backstreets

Because The Night

She’s The One

Wrecking Ball

The Rising

Badlands

Born To Run

Bobby Jean

Glory Days

Dancing In The Dark

Tenth Avenue Freeze Out

Medley: Twist And Shout/La Bamba

I’ll See You In My Dreams

Articolo di Luca Di Criscio

Pubblicato da livestudio

Mi chiamo Luca Di Criscio e sono nato il 19 Maggio 2003 ad Atessa, un piccolo comune nella provincia di Chieti in Abruzzo. Fin da piccolo ho sviluppato un grandissimo interesse per la musica, specialmente il rock del passato, che mi ha portato all'età di 9 anni ad intraprendere lo studio della chitarra. Durante gli anni dell'adolescenza poi, i miei orizzonti culturali e musicali si sono notevolmente ampliati anche grazie alle prime esperienze all'interno di gruppi musicali, che mi hanno dato lezioni molto preziose. Dopo aver terminato il Liceo Classico, ho intrapreso gli studi all'Università Cattolica Del Sacro Cuore di Milano frequentando il corso di Linguaggi Dei Media della facoltà di Lettere e Filosofia. In questo ambiente, sono arrivato ad unire la mia enorme e sempre maggiore passione per il mondo musicale con gli studi passati e presenti per realizzare quale sia la mia ambizione: diventare un giornalista musicale. Pertanto, mi sono subito messo al lavoro e, contestualmente ad una collaborazione avviata con la web radio RockAndWow, ho deciso di aprire questo blog musicale nel quale metterò tutta la mia passione e le mie competenze.