01/06/2023
Articolo di Luca Di Criscio
Di passaggio sul profilo Instagram del mio blog Live&Studio, recandomi nella sezione direct noto un messaggio tra le richieste. Tra me e me penso “Sarà sicuramente il solito spam. Cosa avrò vinto questa volta un buono Shein o un iPhone 14?”. Aprendo la sezione, noto con estremo piacere che il messaggio proviene da una band di nome Belzer, la quale mi chiedeva se il loro ultimo disco potesse essere oggetto di analisi del mio blog… Ma chi sono i Belzer? I Belzer sono un gruppo musicale pop cantautorale di Genova composto da: Giulio Belzer, cantante, pianista e anche chitarrista del gruppo; Guido Bruzzone, bassista; Massimiliano Breveglieri, chitarrista elettrico ed acustico; Davide Bergaglio, batterista. Hanno da poco pubblicato il loro ultimo lavoro “Un Elegante Disastro”, terzo della loro discografia, e hanno all’attivo anche diversi singoli ed EP, nonché un canale YouTube ricco di video risalenti al periodo della pandemia.
…felice e ancora sorpreso rispondo. Con la band ho poi deciso di realizzare una lunga intervista, nella quale gli ho chiesto di ripercorrere tutta la loro storia. Il risultato lo trovate nelle parole di Giulio e Guido, che con grande precisione e sana ironia hanno saputo dare fascino al percorso musicale fatto insieme. Buona lettura.
COME VI SIETE CONOSCIUTI?
Guido Bruzzone: Dopo una seduta in sala di registrazione uscii col titolare, che mi invitò ad ascoltare una nuova proposta: questa era proprio Giulio. Mi interessò parecchio e mi presentai, dopo gli chiesi se avesse mai pensato di mettere su una band invece di continuare da solo e così abbiamo iniziato a collaborare, io suonavo il basso. In seguito tramite vari contatti sono arrivati anche gli altri due membri. Era il lontano 2004. Si sono poi avvicendate diverse persone all’interno della band: essa ha cambiato faccia diverse volte, perché all’inizio era nata come un progetto indie, poi è diventato acustico, infine siamo tornati più sul pop. Essendo sempre stato un progetto di sinergia di diverse teste, man a mano che esse cambiavano, mutava anche il modo di portare avanti il discorso.
Giulio Belzer: In fondo però siamo noi due che ci siamo sempre stati fin dall’inizio. L’elemento che è cambiato più spesso è stato il batterista: siamo partiti da Carles Zanetti, che era anche il nostro fonico, nonché colui che ci ha fatti conoscere, e passando attraverso altri musicisti siamo arrivati a Davide Bergaglio, con cui abbiamo anche registrato “Un Elegante Disastro”.
GBr: La formazione attuale c’è da 4 anni. Davide è entrato un anno prima del covid, infatti l’avevamo forzato a studiare tutto il repertorio perché dovevamo iniziare a registrare “Un Elegante Disastro” e poi non se ne è fatto niente per tre anni. Mentre Massimiliano Breveglieri, il chitarrista, è con noi da ormai 10 anni, quindi, si può dire membro della band con tutti i crismi, visto che ha da poco festeggiato il suo decennale.
DA DOVE PRENDETE IL VOSTRO NOME?
GBe: Viene, come si può intuire, dal mio cognome. Inizialmente era il mio nome d’arte come cantautore solista, avendo un cognome così particolare funzionava bene di per sé. Alcuni pensano che Belzer sia il mio soprannome e che il mio vero cognome sia un altro, si è quindi ribaltata la situazione. Facendo delle ricerche su Gens, sito che permette di vedere quanto è diffuso il proprio cognome in Italia, ho scoperto che siamo in meno di 12 ad averlo. Dicono che i Belzer vengano tutti da un paesino del Piemonte, Morsasco, il cui cimitero infatti è pieno di Belzer, e derivi da un luogotenente austroungarico, che in loco evidentemente si è divertito parecchio facendo tanti figli.
COME DESCRIVERESTE IL VOSTRO STILE?
GBe: Questa è la classica domanda che mette in difficoltà le band. Diciamo che se fino al disco precedente ci definivamo come band pop rock perché le chitarre elettriche distorte erano piuttosto presenti, in “Un Elegante Disastro” invece siamo tornati verso una dimensione molto più acustica: le chitarre sono meno in evidenza e creano più atmosfere e colori.
GBr: Come dicevamo prima è sempre stato un discorso di più teste messe insieme e ognuno viene da influenze diverse: esse hanno in comune un certo tipo di cantautorato, però c’è chi ha alle spalle il prog, chi il punk, chi viene dall’acustico puro, chi ha studiato jazz al conservatorio: ognuno porta il suo.
GBe: Per concludere quindi adesso ci definiamo pop cantautorale: il testo ha preso molta importanza e non si può parlare più solo di pop, ma l’attenzione per la melodia nel ritornello che ti si fissa in mente c’è sempre.
CHI DI VOI COMPONE I TESTI E CHI LE MUSICHE?
GBe: A scrivere i brani sia dal punto di vista letterario che musicale sono io. In sala lavoriamo poi insieme sullo sviluppo della canzone, sull’arrangiamento e sulla direzione che deve prendere il brano.
GBr: È un lavoro molto lungo, litighiamo tantissimo ma alla fine va tutto a posto (ride). Lui è molto sensibile ad un discorso soggiacente che passa nella testa di tutti, ma che lui è capace di identificare e tirare fuori mettendolo per iscritto. Quindi, quando arriva con un testo e una stesura è come se noi l’avessimo già nelle orecchie: per noi diventa più facile sentirli nostri i brani ed entrarci dentro a livello musicale.
GBe: Si tratta di un processo molto lungo, ma alla fine si trova sempre l’accordo.
GBr: L’accordo lo si trova letteralmente (ridono).
SUL PROFILO SPOTIFY DEI BELZER SI NOTA CHE TRA IL PRIMO DISCO E L’ULTIMO SONO TRASCORSI 14 ANNI. COS’È SUCCESSO NEL FRATTEMPO?
GBe: In mezzo c’è stato un album, che purtroppo per ora non è presente su Spotify (“Piccoli Oggetti Meccanici”, ndr). Noi abbiamo questa maledizione di fare un album ogni 7 anni: nel 2009 abbiamo fatto “L’Ultimo Giorno D’Inverno”; nel 2016 “Piccoli Oggetti Meccanici”; dopodiché avevamo fatto i bravi e in tre anni ne avevamo preparato uno nuovo finito ed eravamo pronti ad entrare in studio… poi è arrivata la pandemia e quindi arrivederci a tutti.
GBr: Essendo il più anziano della band li ho sollecitati a non fare il prossimo disco tra altri 7 anni perché non so se ci sarò ancora.
GBe: Il nostro secondo disco non c’è su Spotify banalmente perché il distributore ha cessato di esistere. Nel frattempo, si era fatta avanti la possibilità di collaborare con l’etichetta che ha distribuito il nostro ultimo album (la MGA, ndr), che si era offerta di farlo anche con il secondo album. Abbiamo quindi deciso di fare così: dopo “Un Elegante Disastro”, cureremo una re-issue del secondo. Ristamperemo quindi “POM”, perché per noi è stato un disco di svolta sotto tanti aspetti.
GBr: Per noi “POM” ha anche un valore affettivo, perché abbiamo avuto la fortuna di incontrare un grande personaggio della musica italiana, che si è affezionato a noi e ci ha tenuto ad arrangiare un paio di pezzi di quel disco, per poi suonarli dal vivo con noi quando lo abbiamo presentato: sto parlando di Mauro Sabbione dei Matia Bazar, venuto a mancare da poco. Voleva esserci anche per questo disco, ma non ce l’abbiamo fatta, siamo stati troppo lenti noi o troppo svelto lui. Ci teniamo quindi al fatto che “POM” continui a circolare, perché è un bellissimo ricordo della persona che era e della mano che ci ha dato…
GBe: Anche l’enorme generosità che ha avuto nei nostri confronti, l’entusiasmo e la positività erano unici: se gliel’avessimo permesso avrebbe messo mano a tutti i pezzi del disco.
GBr: È stato fantastico notare come, anche dopo aver raggiunto un certo livello avanzato della sua carriera, c’era ancora tutto quell’entusiasmo e voglia di mettersi in gioco, che non è così scontato: con l’esempio ci ha insegnato parecchio.
RACCONTATECI LA GENESI DEL VOSTRO ULTIMO DISCO “UN ELEGANTE DISASTRO”
GBe: Musicalmente, la prima origine c’è stata mentre stavamo ultimando l’album precedente, che era molto ricco ed elaborato con tanti suoni e strumenti. Dopo averlo registrato il nostro tormentone è diventato: il prossimo lo facciamo acustico. In realtà così non è stato, ma l’album è molto più incentrato sulla forma canzone classica, con brani che potessero funzionare anche senza bisogno di tante sovrastrutture. Anche dal punto di vista del contenuto, una prima radice delle tematiche di attualità è sempre nel disco precedente, che lì erano appena accennate, mentre qui emergono con forza. “Un Elegante Disastro” è un ossimoro per tratteggiare la situazione in cui siamo, nella quale ci dicono da tantissimi anni che c’è sempre una crisi, ogni volta una diversa ma c’è sempre, e la nostra società sta tentando di andare avanti ignorandola e pensando che tutto vada bene.
GBr: L’immagine che mi viene in mente è quella dell’orchestra sul Titanic, un elegante disastro è quello: l’orchestra che suona mentre la nave affonda. Si cerca di ignorare dandosi un tono, è questa la distonia che alimenta tutto il disco.
GBe: A me viene in mente il film “L’Odio” (film di Mathieu Kassovitz, ndr), che inizia con l’immagine di un uomo che si butta dalla cima di un palazzo e ad ogni piano dice: “Fino a qui tutto bene”. Questa è la storia della nostra società.
IL BRANO CHE HO APPREZZATO DI PIÙ È “MALUMORE”, QUAL È LA STORIA DIETRO QUESTO BRANO?
GBr: “Malumore” è il seguito ideale dell’unico brano di “POM” senza tanta sovrastruttura dal titolo “Mi Vivo Male”, che parlava in modo più soggettivo di questo tipo di sensazione, laddove invece questo brano lo affronta a 360 gradi.
GBe: Nasce da un piccolo evento personale, da un litigio con un commerciante, e a partire da questa banale cosa quotidiana, mi è scattato un ragionamento, che si è legato ad un’espressione che usa Giorgio Gaber in una canzone: in “L’Illogica Allegria” lui dice “La gente che va in giro con il suo normale malumore”. Questo accostamento ossimorico mi ha accesso la lampadina: perché il malumore dev’essere normale? Perché quando entri in ufficio anche di buon umore, ma un collega ti risponde male, improvvisamente assorbi il suo malessere? Mi sono reso conto che il malumore è un sentimento estremamente contagioso, come un virus, è la cifra dell’essere moderno: questa è l’idea di base del brano.
Avevo una piccola radice del giro di pianoforte, emersa in maniera molto istintiva. Riascoltandola tempo dopo sul telefono, dove metto tute le registrazioni delle idee di base, mi sono reso conto che quella fosse perfetta per “Malumore”.
GBr: Quella ritmica così altalenante dà questa bella sensazione di disagio, perché non è quadrata, ti dà quel senso di fastidio molto appropriato.
IN “GLI SPIETATI” C’È UNA DIRETTA CITAZIONE A FABRIZIO DE ANDRÈ. QUANTO È IMPORTANTE PER VOI LA SUA FIGURA?
GBr: C’è un video che abbiamo realizzato nel periodo del lockdown, nel quale io ho voluto parlare, in occasione dell’anniversario della morte di De André, della mia esperienza di quel funerale, che per Genova è stato un momento molto particolare.
Il video era proprio senza pretese, con una luce sbagliata ed un’inquadratura, diciamocelo, di merda, che, nonostante ciò, ha fatto quasi trentamila visualizzazioni. Questo per dirti quanto De Andrè sia vivo per la mia e le successive generazioni e sia stata la figura di un fratello maggiore o di un padre, un po’ saggio un po’ figlio di puttana, che ti dava un’idea di come erano le cose con una visione laterale sul mondo, non esattamente quella ufficiale. È un’influenza che rimane anche se fai cose diverse, quella forma pensiero fa sempre parte di te.
Io poi De André l’ho visto diverse volte dal vivo, la prima è stata in occasione del tour con la PFM (Premiata Forneria Marconi, ndr): avevo 14 anni ed era la prima volta che i miei genitori mi facevano uscire da solo con i miei amici e l’hanno fatto per questo concerto.
A CHIUDERE “UN ELEGANTE DISASTRO” È L’UNICO BRANO IN INGLESE. QUALI MOTIVAZIONI CI SONO DIETRO QUESTA SCELTA?
GBe: Il brano è in inglese semplicemente perché mi è uscita così, funzionava già bene in quel modo e mi sembrava una forzatura tradurla in italiano. Fin dall’inizio ha avuto la caratteristica della sigla di coda, anche grazie all’idea di andarsi a spegnere uno strumento alla volta, finchè non rimangono solo i colpi di cassa a chiudere l’album. Il suo partire così leggero doveva seguire nella mia testa qualcosa di molto forte musicalmente e, infatti, l’abbiamo accostata a “Dieci Giorni Di Pioggia”, che ha un finale molto forte con fiati e chitarre elettriche: dall’esplosione e le macerie che lascia questo brano, far partire con il pianoforte questo brano di chiusura mi sembrava la scelta perfetta.
LA COSA CHE SORPRENDE DI PIÙ PERÒ È CHE ALLA FINE DEL BRANO C’È UNA GHOST TRACK…
GBe: Ciò dimostra la nostra età perché nessuno fa più le ghost track (ride). È una di quelle cose che per tutta la vita dici “Questo voglio farlo anche io prima o poi” e questa era l’occasione giusta. La canzone nasce perché mi sono reso conto che “Gli Spietati” parlava solo del lato negativo dell’essere spietati, quando invece esiste anche un lato positivo e molto importante nell’essere freddi e diretti nella vita. Mi sono quindi reso conto che il discorso era incompleto, allora il mio cervello ha iniziato a lavorare.
GBr: Quando ce l’ha presentata aveva pensato di metterla subito dopo “Gli Spietati”, come una risposta al brano e infatti dal vivo così facciamo. Lui ce l’ha portata per arrangiarla insieme e noi gli abbiamo detto: “No questa te la fai da solo con la chitarra e, ti dico di più, la nascondiamo pure”.
GBe: Stava bene così come bozzetto breve e in quanto tale andava nascosto. Io ho un amore per i Beatles storico e questa è un po’ la “Her Majesty” di questo disco.
QUALI SONO LE VOSTRE PRINCIPALI FONTI DI ISPIRAZIONE?
GBr: Io ho cominciato come chitarrista, ma il basso è il mio strumento sociale, con il quale riesco ad interagire con gli altri, e risente del prog, ma anche del mio aver iniziato all’epoca del punk. Dopodiché c’è tanta classica nella testa; tutto quello che è venuto negli anni 80 come hardcore, dark wave ecc…; c’è un amore per certe forme di cantautorato italiano, ma anche internazionale come Neil Young; ci sono inevitabilmente i Beatles: tutte cose che ci sono perché sono vecchio (ride).
GBe: Io invece vengo dal rock e pop inglese: i Queen sono stati il mio primo amore, poi ho continuato con i Beatles e con l’ondata del Britpop negli anni 90. Ho poi avuto una grossa scuffia con i Cure e i Radiohead quando sono venuti alla ribalta con “Ok Computer”: tutto ciò confluisce nella parte musicale. Un amore più recente è quello per i cantautori italiani, che nell’ultimo album hanno molto influenzato la scrittura, soprattutto Lucio Dalla, un faro per me in questi anni. Anche la musica indipendente anni 90 italiana è stata importante per me con gruppi come i Bluevertigo, gli Afterhours e gli Scisma, uno dei miei gruppi italiani preferiti.
QUALI PROGETTI AVETE PER IL FUTURO?
GBe: Nell’immediato lavoreremo per fare sentire il più possibile “Un Elegante Disastro” con un po’ di date estive promozionali. Il progetto per l’autunno è continuare con uno spettacolo indoor, anche con qualche novità nella scaletta: ora che abbiamo tre dischi possiamo permetterci il lusso di andare a ripescare qualche brano dal repertorio passato. Il prossimo progetto è poi quello di fare il prossimo disco in tre anni (ride).
GBr: Il prossimo lo faremo acustico per davvero: i Belzer a cappella!
Gbe: L’intenzione c’è, i pezzi anche ci sono già…
GBr: Non avevamo dubbi… devi sapere che lui ha l’abitudine di continuare a scrivere a cavoli suoi mentre stiamo registrando. Quando hai appena finito di preparare il materiale da portare in giro per un po’ arriva lui e ti dice: “Avrei fatto questo pezzettino, ne avrei un altro che fa più o meno così…”. Giulio, te devi da fermà (ridono).
GBe: Con la nostra nuova etichetta MGA abbiamo trovato una bellissima realtà, che costituisce per noi una buona base per poter lavorare ai progetti futuri: per questo in meno di 7 anni ce la possiamo fare a pubblicare il prossimo disco. Ora è passato appena un mese dalla pubblicazione dell’ultimo album, poi faremo passare un po’ di tempo ed infine finalmente cureremo la riedizione di “POM”, a cui teniamo tanto.
GBr: Poi cureremo un’edizione cofanetto che racchiude tutti e tre i dischi: abbiamo un piano per conquistare il mondo (ride).
Le domande erano tante e le risposte dei due ospiti sono state lunghe e ricche di preziose informazioni, producendo una meravigliosa chiacchierata di più di un’ora. Giulio e Guido sono stati molto gentili e disponibili nel raccontare tutta la loro storia musicale condivisa insieme, impreziosendola con curiosi aneddoti e segreti riguardanti alcuni dei loro brani. È tempo però che le parole facciano largo ai fatti, in questo caso quindi alla musica: “Un Elegante Disastro” è fuori su tutte le piattaforme ormai dal 5 maggio, non resta che andare ad ascoltarlo e scoprirlo.
Articolo di Luca Di Criscio
Link per l’album: https://open.spotify.com/album/1bnSa35vWejBMKzzPcEAtG?si=cI89sH2jQdGx4jUdpfeEnA