
Articolo di Luca Di Criscio
09/10/2022
IL DIO È STANCO (PARZIALMENTE)
Un’attesa interminabile, una storia infinita è quella che verrà narrata qui. Bisogna risalire al Novembre 2019 per rintracciare la data di acquisto dei biglietti per questo concerto, quando credevamo ancora che di lì a pochi mesi avremmo potuto assistere allo spettacolo del più grande chitarrista vivente. Poi il sopraggiungere della pandemia nell’anno seguente ha costretto al rinvio del concerto, una volta, due volte. Quando la già tanto lunga attesa sembrava sul punto di essere premiata, ecco che il nostro protagonista è stato vittima di quello stesso male che così a lungo aveva protratto i suoi concerti e a quel punto le certezze di molti fan hanno iniziato a vacillare, con l’ipotesi che l’evento potesse essere cancellato. Alla fine però Clapton, più forte della sfortuna, ha riprogrammato ulteriormente le sue date italiane, giungendo così a Bologna il 9 Ottobre per la prima data di recupero. Inutile dire che la trepidazione per l’arrivo del giorno tanto atteso era tangibile sul volto di ogni fan, ma conviene anche premettere che ciò abbia generato aspettative sulla serata di proporzioni massicce.
Dopo mezz’ora di buon blues energico targato Robben Ford, ospite di lusso della serata, ecco che Slowhand fa il suo ingresso in scena. Il suo soprannome lo descrive alla perfezione: cammina lentamente sul palco fino a raggiungere la propria postazione, imbraccia la sua fedele Stratocaster nera e senza proferire parola alcuna inizia la propria esibizione (ma d’altronde è risaputo che non si sia mai aperto molto verso il pubblico). Il concerto si apre con l’incalzante “Tearing Us Apart”, primo brano di un set elettrico che vede Clapton districarsi tra cover blues, la commovente “River Of Tears”, nel quale ha dimostrato, dove ancora ce ne fosse bisogno, perché ancora oggi è uno dei più grandi di tutti, e il classico “I Shot The Sheriff”, che ha infiammato il pubblico rappresentando uno dei momenti più alti della serata.
Quello di questa sera è un Clapton molto generoso. Infatti, in ogni brano non ricopre mai il ruolo di prima donna, bensì lascia sempre i primi giri di assolo agli altri musicisti per poi prendersi la scena solo verso la fine e solo per una manciata di giri. Lo schema funziona, eppure sembra che ci sia qualcosa che non vada: in alcuni tratti il nostro Eric sembra fiacco, stanco e poco propenso a “lanciarsi” negli assoli. Questa sensazione è confermata dal successivo set acustico, che dovrebbe costituire un momento più intimo del concerto, ma che di fatto per via del calo di dinamiche finisce per escludere il pubblico sugli spalti. È in questa fase che i fan sanno di potersi aspettare alcuni tra i brani migliori del repertorio del chitarrista inglese, eppure di questi a salvarsi è solo “Nobody Knows You When You’re Down And Out”, intatta nella sua versione tratta dall’“Unplugged”, mentre l’attesissima “Layla”, molto spenta nonostante il suo trascinante ritmo blues, e la dolce “Tears In Heaven”, proposta qui in una discutibile versione in stile reggae, non convincono e lasciano un po’ di amaro in bocca.
Dopo la parentesi acustica, Clapton imbraccia nuovamente la sua Fender e con un secondo set elettrico si avvicina alla conclusione della prima serata bolognese. In questa sezione Slowhand sembra molto più nel vivo dei giochi e dopo una magistrale e dinamica “Badge” dei suoi Cream e la meravigliosa “Wonderful Tonight”, piccola parentesi di riposo per Clapton che cede il riff al chitarrista della band Doyle Bramhall II, egli cambia decisamente marcia concedendosi due momenti tutti suoi che segnano l’apice della serata. Prima in “Crossoroads”, cover del grande classico di Robert Johnson, dà il meglio di sé concedendosi ben tre assoli intensi e di pregevole fattura non lasciando spazio per nessuno altro, infine con il grande classico “Cocaine” chiude i giochi nel migliore dei modi grazie all’energia di un brano iconico e trascinante.
Dopo una breve pausa di rito, la band torna sul palco per il più classico dei bis e a questo punto la mente dei fan inizia velocemente ad ipotizzare quale esso possa essere: quasi tutti pensano ad una chiusura in grande stile con l’immortale “Sunshine Of Your Love”, altri propendono per altri classici, mentre i più fantasiosi azzardano una comparsa sulla scena dell’amico Zucchero per un finale memorabile… nulla di tutto ciò. Clapton torna sul palco per eseguire “High Time We Went”, cover di Joe Cocker e brano molto incalzante e divertente, se non fosse che abbia rovinato le aspettative di tutta la platea, che non avrebbe mai pensato di essere salutata da questa leggenda vivente con un brano non suo e neanche cantato da lui, ma lasciato alla voce del tastierista Paul Carrack. A posteriori, il pubblico della serata del 9 inoltre può anche reclamare per quanto avvenuto nella seconda data bolognese: per il bis è stato coinvolto sul palco anche Robben Ford per una jam in pieno stile blues, cosa che la sera precedente non si è verificata. Al termine del brano Eric, senza dire una parola e salutando con un semplice gesto della mano, se ne va, questa volta definitivamente, così come era arrivato: lentamente.

È il momento di tirare le somme. Quella di oggi è stata una serata di musica di qualità eccelsa come raramente si può trovare in giro oggi, con una band in grande stato di forma, nella quale spicca un Chris Stainton alle tastiere particolarmente ispirato, e un Clapton dalla voce ancora intatta e dal suono sempre inconfondibile. Nonostante ciò, sono molti gli aspetti che lasciano perplessi dalla scaletta alla durata del concerto (appena un’ora e mezza), dalle impressioni che ha dato sul palco al suo aver trattato questa data di recupero esattamente come una normale, senza riservare né un regalo, vista la lunga attesa, ai fan né tantomeno delle parole di scuse o di ringraziamento, ma d’altronde abbiamo già detto in precedenza che Clapton non si è mai aperto più di tanto con il suo pubblico. Probabilmente a creare questo sentimento di parziale insoddisfazione avrà contribuito anche un’attesa e un’aspettativa spropositata per il concerto da parte dei fan, i quali chiedevano qualcosa che Clapton, viste le sue condizioni di salute non eccelse, non avrebbe mai potuto dare.
Resta comunque la consapevolezza di aver preso parte ad un grandissimo ed irripetibile evento, che rappresenterà per sempre un ricordo indelebile per tutti coloro che sono accorsi all’Unipol Arena questa sera. Per tutti i presenti deve essere vista come un onore la possibilità di aver assistito ad un concerto del genere e di aver potuto rendere omaggio al dio della chitarra. Nonostante l’età e gli acciacchi, il più grande chitarrista vivente è salito ancora una volta sul palco, questa volta forse davvero per l’ultima volta.
Articolo di Luca Di Criscio
SETLIST:
Tearing Us Apart
Key To The Highway
I’m Your Hoochie Coochie Man
River Of Tears
I Shot The Sheriff
Country Boy
After Midnight
Nobody Knows You When You’re Down And Out
Layla
Tears In Heaven
Badge
Wonderful Tonight
Crossroads
The Sky Is Crying
Cocaine
High Time We Went